Le lesioni del plesso brachiale nell’adulto.

Orientamento diagnostico e terapeutico.

(S.Ferraresi)

 

Davanti ad un paziente che presenta una lesione parziale o totale del plesso brachiale è fondamentale riconoscere precocemente se si può prevedere una evoluzione spontanea favorevole o se solo la chirurgia è in grado di migliorare il decorso del paziente.

La modalità del trauma può contribuire a chiarire questo quesito.

Una lesione diretta aperta (ad es. da taglio) difficilmente avrà un' evoluzione in guarigione spontanea e dovrà essere riparata chirurgicamente.

Un trauma chiuso a bassa velocità (come una caduta dalla bicicletta o in ambito domestico) avrà molte probabilità di causare una semplice neuroaprassia degli elementi del plesso brachiale e quindi potrà avere un buon recupero spontaneo.

Una lesione a cui si associa un problema vascolare (es. la rottura dell' arteria succlavio-omerale), è praticamente sempre accompagnata da una rottura delle radici o dei tronchi e richiede la riparazione chirurgica.

Diagnosi clinico-strumentale

Nei traumi chiusi il primo scopo è stabilire se vi è una lesione da stiramento in sede postgangliare (esterna al forame di coniugazione) o una avulsione delle radici dal midollo spinale

(rispettivamente nelle fig. a sin e a dx)

La presenza di due o più radici avulse è indice di lesione con minima o nulla probabilità di recupero spontaneo e, nelle paralisi totali, solitamente si accompagna anche a rotture postgangliari ai rimanenti livelli.

Il riconoscimento precoce di tali quadri può essere clinico (assenza di movimenti del dentato anteriore, sindrome di C-B-Horner, paralisi di emidiaframma) , neurofisiologico ( EMG con denervazione nella muscolatura prossimale, elettroneurografia, PEM e PESS) e per neuroimmagini (NMR 3D con bobina dedicata a sequenze CISS o mielografia con TAC).

In linea generale è bene non ritenersi soddisfatti della sola diagnostica neurofisiologica, anche della più chiara : non di rado infatti si può avere l’associazione di una lesione pregangliare ed una postgangliare. In questo caso l'evidenza strumentale del danno postgangliare prevale "coprendo" il pregangliare. Va da sè ,quindi, che la presenza di una avulsione radicolare sarebbe sottostimata. In rari e selezionati casi, poi, può essere indicata la emilaminectomia esplorativa che, ovviamente, costituisce il gold standard in termini di accuratezza diagnostica delle avulsioni radicolari.

Un riconoscimento accurato della sede di lesione (rottura postgangliare o avulsione pregangliare) permette di effettuare un timing corretto e motivato sia della riabilitazione che di un eventuale trattamento chirurgico.

Generalmente parlando, i pazienti con due o più avulsioni radicolari possono essere operati appena terminata la diagnostica per immagini, e i risultati saranno migliori quanto più precocemente sarà effettuato l’intervento.

L’unica eccezione è costituita dalle lesioni inferiori pure (tipo Dejerine-Klumpke) con avulsione di (C7), C8-T1: in questi casi la chirurgia é praticamente solo osteotendinea (transfer a scopo palliativo) e noi preferiamo effettuarla non prima di sei mesi dal trauma perché alcuni flessori ed estensori dell’avambraccio possono ricomparire durante questo periodo. In alcuni casi superselezionati si stanno tentando reinnervazioni del nervo mediano con i rami derivanti dal muscolocutaneo, ma ciò va discusso paziente per paziente.

Se invece abbiamo la sicurezza che non vi sono avulsioni radicolari il paziente può essere ricontrollato e monitorato con studi elettrofisiologici.

In caso di assenza di segni di rigenerazione nervosa tra i 3 ed i 6 mesi si propone l’intervento di microricostruzione, per la probabile presenza di rotture postgangliari. Analogamente, in presenza di una rigenerazione che salti un distretto anatomico, si pone la indicazione alla esplorazione chirurgica. Parliamo, per esempio, di una paralisi di plesso superiore (C5-C6) in cui il bicipite, il brachioradiale e gli spinati abbiano recuperato, ma il deltoide resti denervato. In questo caso le radici C5 e C6 hanno reinnervato il loro distretto di competenza ma coesiste una doppia lesione in sede distale del nervo circonflesso all’ingresso del quadrilatero omero-tricipitale.

Riassumiamo i quadri più frequenti che si incontrano nella pratica clinica:

Paralisi alte o medio alte C5-C6-(C7)

il paziente non contrae il bicipite e non ha i movimenti di abduzione ed extrarotazione del braccio. La funzione della mano è buona. A secondo del coinvolgimento di C7 può avere anche un difetto degli estensori del carpo e delle dita.

1) Possiamo trovarci davanti ad una rottura postgangliare di C5-C6 se il diaframma funziona e se il serratus anterior è innervato. In questo caso si conferma la assenza di avulsioni con la mieloCT e si pone indicazione all’intervento di riparazione da C5-C6 al Tronco Primario superiore. Il timing corretto è tra 3 e 6 mesi dal trauma.

2) Se il diaframma è paralizzato e il serratus anterior è denervato siamo davanti ad una avulsione di C5 e C6. Se la mieloCT conferma questo dato il paziente viene operato prima possibile utilizzando una delle tecniche di by-pass distale-prossimale. L’attesa in questo caso è ingiustificata ed infruttuosa.

 

Paralisi totale

1) La paralisi di tutti i muscoli ma con diaframma e serratus anterior funzionanti, in genere è data da una rottura postgangliare di C5 e C6, da una avulsione di C7, e da avulsioni (sub)-totali di C8 e T1.

E’ bene operare il paziente prima possibile per riparare dai monconi di C5 e C6 il tronco primario superiore. Le radici inferiori, se avulse, non vengono trattate in quanto a tutt’oggi nulla è possibile fare per riparare una avulsione di C8 e T1. Il recupero di alcune funzioni della mano è affidato alla presenza di radicelle motorie residue e può verificarsi da 3 mesi a due anni dopo il trauma. Nel caso di recupero di alcune funzioni della mano nelle prime settimane dopo il trauma si configura il sottogruppo Paralisi totale con recupero tardivo di una radice inferiore che costituisce un vantaggio perché assicura una certa funzione della mano.

Il problema mano: nei pazienti con avulsione delle radici inferiori (deputate alla motilità della mano) abbiamo deciso, nelle Riunioni di Consenso Internazionali, di eseguire delle reinnervazioni con alcuni elementi del plesso sano controlaterale (radice C7 o corda mediale). Tali procedure, adatte per coloro che hanno sicure avulsioni di C8 e T1 ed in soggetti molto giovani, hanno dato in taluni casi qualche piccolo risultato sulla funzione delle dita, pur senza assicurare miracoli in termini di movimenti complessi della mano e risultando comunque, nel complesso, piuttosto deludenti. Dal punto di vista teorico poi, sarebbe sempre possibile, eventualmente, convertire tali procedure in trapianti muscolari liberi pro-flessione delle dita come secondo tentativo.

2) Se il paziente ha una paralisi di tutti i muscoli, compresi il diaframma e il serratus anterior e per di più con associata una sindrome di Horner ci troviamo davanti ad una avulsione totale. In questi casi gli obbiettivi sono assai limitati: si può aspirare ad un recupero modesto del bicipite e ad una stabilità della spalla.

3) Se il paziente ha una paralisi totale ma con diaframma, serratus anterior e muscoli spinati funzionanti, allora considerare la possibilità che la lesione sia delle corde o dei tronchi.

In questo caso le radici saranno normali e vi potranno essere indizi che orientano verso una lesione cosiddetta infraclavicolare, quali una frattura della clavicola o di scapola, una lussazione scapolo-omerale, una rottura o trombosi dell’arteria succlavia. In questo caso l’intervento è indicato tra i 3 e 6 mesi dopo il trauma.

 

Paralisi inferiore (C7)–C8–T1

In genere è legata ad una avulsione di (C7) -C8-T1: in casi come questi la mieloCT conferma la avulsione e non c’è alcuna indicazione all’intervento di microricostruzione, salvo condizioni molto particolari che potranno essere discusse da caso a caso. In generale, si prenderà in considerazione la chirurgia secondaria di transfer muscolari pro-flessori del carpo e delle dita. E’ bene eseguire l’intervento non prima di 6 mesi dopo il trauma, affinché i transfer siano effettuati solo dopo che la situazione legata ai possibili recuperi spontanei dei flesso-estensori del carpo sia chiara.

Modalità dell'intervento chirurgico: di solito viene eseguito con l'assistenza del Servizio Sanitario Nazionale. Non vi nascondo però, che a volte la tempistica crea diversi problemi. Il nostro reparto di Neurochirurgia, se é vero che é particolarmente dedicato alla microchirurgia nervosa, ha però degli obblighi assistenziali verso altre patologie ( tumori, lesioni vascolari o della colonna) per cui i tempi di attesa potrebbero essere un problema. Capita spesso, infatti, che giungano pazienti che hanno riportato il trauma 5 o 6 mesi prima e che leggono che bisognerebbe fare l'intervento entro 6 mesi dal trauma: capite bene che non é possibile accontentare tutti nei tempi richiesti. Esiste quindi una modalità che si chiama libera professione intramoenia, che permette al paziente di NON entrare a far parte della lista di attesa, e di negoziare con la equipe (fatta di due chirurghi, un anestesista, tre infermieri di sala, e l'amministrativo che organizza la procedura) una seduta operatoria aggiuntiva FUORI dal normale orario di servizio. Essa quindi non risentirà della programmazione né di eventuali urgenze perché avrà sala operatoria ed équipe non in servizio pubblico in quel momento. Va da sé che ci sarà un contributo economico che però é nettamente inferiore a quanto richiesto dalle case di Cura Private e la cui fattura verrà rilasciata dall'Ufficio Economato dell'Ospedale. Si raccomanda quindi, per tutti coloro che hanno una copertura assicurativa o che possono venire risarciti nell'incidente, di considerare questa possibilità per l'intervento.

Recupero post-intervento

La valutazione va fatta in un arco di tre anni dall’intervento di microricostruzione. Nel frattempo potranno essere del pari proposti interventi secondari cosiddetti "palliativi" per migliorare la ripresa di alcune funzioni selezionate come prioritarie. Dopo questo tempo è assai raro (anche se in qualche caso lo abbiamo osservato) avere recuperi non visti prima.

Per tutto questo periodo i pazienti vanno assistiti dal punto di vista fisiatrico o in modo diretto o insegnando loro i principi del trattamento.

Troppo spesso ricevo le telefonate di pazienti perplessi perché, a tre mesi dall' intervento chirurgico, il trattamento riabilitativo viene interrotto e viene loro detto che, poiché non si vede alcun recupero, non c’è più nulla da fare. Diverso è invece se si spiega ai pazienti che le risorse di personale e le disposizioni regionali non consentono trattamenti prolungati ad oltranza. Per questo motivo, infatti, sarebbe opportuno che pazienti e famigliari venissero addestrati a continuare la rieducazione per loro conto, integrando così e sostituendo il Servizio Pubblico dove questo non può o non riesce più ad arrivare.